IL MARTIRIO DI SANT'IPPOLITO

 "IL MARTIRIO DI SANT'IPPOLITO", DIPINTO ANONIMO MA NON TROPPO ... 


di Domenico Latino (da Gazzetta del Sud) - Nelle foto allegate, il lavoro di ricerca dell'architetto Carmelo Raco


Cosa c’entrano artisti del calibro del francese William Bouguereau, massimo esponente dei cosiddetti “pittori pompier” del secondo ottocento, dediti a tematiche classiche e mitologiche, o di Antonio Ciseri, sublime maestro fiorentino della pittura religiosa del XIX sec., per non parlare poi del grande Tiziano, con un dipinto anonimo esposto sulla parete del Duomo, alle spalle del coro, che ritrae il martirio di Sant’Ippolito, patrono di Gioia Tauro, di cui proprio oggi ricorrono i festeggiamenti? A svelarlo, dopo anni di buio più totale, una lunga e affascinante ricerca del noto architetto e artista gioiese Carmelo Raco per attribuirne la paternità. L’affresco, olio su tela, che si trova nel Duomo da sempre, ovvero dalla sua consacrazione, nel 1933, raffigura il supplizio del Santo, legato per i piedi e trascinato dai cavalli che lui tanto amava, mentre un carnefice lo fustiga; la scena, tipicamente romana, ritrae sulla destra la corte riunita e in alto due angeli con una palma e la santificazione del martirio. Ebbene, Raco, non solo avrebbe individuato l’autore del dipinto ma svela con riferimenti circostanziati aneddoti e particolari prima sconosciuti che identificano molti personaggi di quella composizione non proprio “originale” … “Mi sono accorto di alcune anomalie quando, in viaggio a Firenze, ho visto l’ “Ecce Homo” di Ciseri - esordisce Raco- ho riconosciuto alcune figure presenti nella tela del Duomo, per un attimo ho pensato che poteva essere lui l’autore ma Ciseri non ripeteva i suoi soggetti, ne avrebbe inventati di nuovi …”. E per la prima volta svela i particolari della sua indagine a Gazzetta. Innanzi tutto, individua un grossolano errore figurativo di carattere anatomico: il piede destro di Sant’Ippolito, infatti, viene rappresentato con l’alluce all’esterno, mentre, invece, avrebbe dovuto essere all’interno, particolare di cui forse nessuno si è mai accorto; inoltre, nel dipinto non si vede neanche la seconda gamba del Santo. Impossibile obiettare che potrebbe essere nascosta perché, viceversa, le gambe del cavallo si vedono e bene. Raco, anche lui figurinista, attraverso uno studio approfondito, ha anatomicamente “spogliato” il Santo riportandolo su una tavola di studio in cui fa vedere la posizione errata e quella corretta raggiungendo la forma di torsione. Andando avanti nella ricerca, salta fuori che il ritrattista altro non ha fatto che traslare figure già esistenti: il flagellatore, ad esempio, è quello di Bouguereau nella “Flagellazione di Cristo”; le dolenti, Claudia moglie di Pilato e la serva, sono riprese dal meraviglioso “Ecce Homo” di Ciseri, conservato nella galleria nazionale di Firenze, a palazzo Pitti (da questo dipinto è stato preso anche il fregio romano); e gli angioletti in alto sono addirittura identici, anche se assemblati in posizione diversa, a quelli del “Doge Grimani in adorazione davanti alla Fede” di Tiziano! In parole povere, siamo di fronte ad una sorta di collage. Ma com’è possibile? E chi è l’autore in grado di riprodurre così fedelmente soggetti di artisti così importanti? Raco crede di saperlo e l’intuizione gli è giunta osservando la tecnica pittorica di un altro quadro, “La cacciata dal Paradiso”, realizzato da Grillo e Zimmatore nel 1926, che si trova nella chiesa del Rosario a Rosarno, dove il Cristo è una copia del Caravaggio e che, curiosamente, presenta lo stesso errore: il piede destro dell’angelo ha l’alluce verso l’esterno … “Zimmatore e Grillo - spiega Raco - erano zio e nipote che lavoravano per la Chiesa, in Calabria; rappresentavano proprio una scuola di artisti di Pizzo. Lo zio, più famoso del nipote, ha realizzato dipinti per le chiese di Rosarno, Bagnara, Polistina, Serra San Bruno. Per la frequenza del lavoro non avevano tempo di inventare nuovi soggetti e, perciò, formavano una composizione, sfruttavano l’immagine di altri artisti in auge ai primi del ‘900 inserendoli nelle loro scenografie. Zimmatore morì prima che il Duomo fosse consacrato - continua Raco - quindi il dipinto non appartiene a lui ma al nipote che ha partecipato a tutte le opere dello zio e ha proseguito i lavori; copiavano si l’immagine ma erano molto bravi nella tecnica anche se spesso commettevano errori anatomici madornali; certo, gli mancava la genialità di inventare la scena, vera fatica di un’opera!”. 


LE STATUE: UNA PERDUTA MA FOTOGRAFATA IN UN GARAGE ...


Raco si sofferma anche sulle statue che raffigurano Sant’Ippolito: quella attuale portata in processione, la più antica, di autore sconosciuto, e l’altra, del 1917, andata perduta anche se qualcuno, qualche anno addietro, l’ha fotografata in un anonimo garage privato … “Ho seguito il restauro insieme alla restauratrice palmese mia omonima Rosaria Raco, che vien dalla scuola di Urbino, e il compianto don Francesco Laruffa - evidenzia l’architetto gioiese – lei aveva già curato il restauro della Madonna del Rosario e io ho avevo realizzato le corone in oro; ci siamo conosciuti allora. Ricordo che per via della scena cruente ci fecero coprire con la cartapesta decorata a mo’ di roccia i due saraceni sottostanti che formavano una montagnetta che serviva da struttura alla pancia del cavallo per diventare un pilastrino. La statua rampante è molto antica: quando l’abbiamo scrostata siamo arrivati a quattro strati di vernice, l’ultimo era una corazza a scaglie, e il legno del cavallo, che invece aveva due mani di pittura, era tarlato, alveolato, così è stato riempito di gesso e resina. Tutto ciò ha portato la restauratrice a datarla oltre un secolo. L’altra statua, che per breve tempo è stata nella chiesa di Sant’Antonio prima di tornare nella sede di provenienza a San Ferdinando, e andata perduta, è più recente e più grande (circa un metro e mezzo d’altezza). Fu realizzata dallo scultore Sebastiano Mustari di Taverna, nel 1917, su ordinazione di una famiglia di Gioia. Mustari ha preso spunto da quella del Duomo raffigurando Sant’Ippolito a cavallo con i saraceni sdraiati sotto, uno che abbraccia l’altro. La mamma dello scultore raccontava che il figlio aveva voluto questa composizione inserendo i saraceni per ricordare le scorrerie che la Calabria subiva, con il Santo Patrono che difende la sua città scacciando sotto i piedi i musulmani: era una chiara contrapposizione fra cristiani e musulmani.


OGGI, 13 AGOSTO, LA FESTA DEL PATRONO 


Quest’anno, la processione per le vie principali della città non ci sarà, così come anche altrove, per via delle disposizioni anti contagio legate alla pandemia di Covid-19 in atto. Fuori, sul sagrato, alle 20, si terrà comunque una Messa solenne, presieduta dal vescovo Mons. Francesco Milito e concelebrata da tutti i parroci e sacerdoti della città, alla presenza della autorità civili e militari e dei fedeli, nel rispetto del distanziamento imposto dalle normative. La comunità è comunque in festa anche perché, durante la cerimonia, sarà ammesso tra i candidati all’ordine sacro del diaconato e del presbiterato il giovane seminarista gioiese Daniele Dato. 


CARMELO ZIMMATORE Pizzo 16.07.1850 - 20.03.1933


Uno dei maestri più bravi che Pizzo abbia avuto, era abilissimo nell’arte dell’affresco. Decoratore e ritrattista, si era formato a Firenze alla scuola di Michele Gardigiani dove per precoce bravura ebbe il riconoscimento di maestro. Dopo anni di lavoro in Toscana, si trasferì in Calabria dove lavorò come pittore per molte chiese sotto la protezione del vescovo Tosi. In Calabria, dopo il ritorno di Tosi in Lombardia, fu accolto dal vescovo Nicola Canino che gli commissionò vari lavori presso la chiesa di Oppido M. e il vescovato. Nel 1875, si dedicò all’insegnamento del disegno presso la scuola nautica di Pizzo e dai suoi insegnamenti si formarono tanti giovani artisti calabresi come i fratelli Murmora, Barone, Cariotti e altri. Molte sue pregevoli opere si trovano presso le chiese di Pizzo, Certosa di Serra San Bruno, Polistena e tante altre del Meridione.


DIEGO GRILLO Pizzo 26.01.1878 - 23.06.1963 Presunto autore del martirio di Sant’Ippolito, nel Duomo di Gioia Tauro.


Valente pittore e decoratore, nipote dell’artista Zimmatore, studiò a Napoli sotto la scuola di valenti artisti come Michetti e Palizzi. Trasferitosi a Pizzo, sua città natale, lavorò con lo zio molto conosciuto, affrescando tante chiese della regione. Oltre a essere un raffinato pittore di paesaggi e nature morte, affrescò con buoni dipinti molte chiese della Calabria come la Certosa di S. Stefano del Bosco, la Matrice di Rosarno, la Cattedrale di Mileto e Andria, la Matrice di Seminara. Fu maestro nel restauro, nella decorazione e nell’affresco. 


IL DUOMO DI GIOIA TAURO 


I lavori per l’edificazione del Duomo di Gioia Tauro, oggi guidato da don Antonio Scordo, iniziarono nell’anno 1930 su un terreno donato gratuitamente dalla famiglia Serra di Cardinale e fu consacrato nel 1933.

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